IL RAPPORTO TRA MEDICO E PAZIENTE

C’era una volta, in un ospedale lontano, il rapporto “quasi esclusivo” tra un medico e il suo paziente. No, non è una fiaba dei fratelli Grimm.

È semplicemente la fotografia di quanto accadeva, diversi anni fa, nelle strutture ospedaliere.

Il nucleo di questa relazione professionale trovava il suo fondamento nel contatto umano, nella capacità del medico di ascoltare e di diagnosticare, nella bravura della sua mano di curare.

Diciamo pure nella sicurezza che la figura del primario, del professore o del medico in corsia, sapeva garantire al proprio paziente.
Attraverso un approccio di questo tipo il medico aveva l’opportunità di conoscere i degenti nel corso dei ricoveri e di consultare le cartelle cliniche – che erano ancora fatte di carta – anche se spesso erano indecifrabili.

Tuttavia, con il passare del tempo e con il continuo evolversi dei processi, la medicina è stata protagonista di un enorme cambiamento.

La tecnologia ci ha consegnato una “medicina moderna”, portando con sé una sorta di rivoluzione: sono cambiati gli orari e le procedure e, allo stesso tempo, si è trasformata la natura della professione del medico.

Le cartelle cliniche non sono più di facile consultazione in fondo al letto del paziente, ma sono salvate all’interno di un computer, costituite da una raccolta di dati e di annotazioni.

Pertanto, questa modernità da una parte ha ottimizzato il tempo per ottenere i risultati delle analisi o degli esami radiologici ma dall’altra non ha aumentato il tempo trascorso con i pazienti.

Che perciò si devono accontentare di un veloce riscontro da parte del medico nel corso della visita giornaliera.
 
Stime recenti indicano che i medici e gli studenti di medicina trascorrono più del 40% della propria giornata di fronte ad un computer per esaminare cartelle cliniche oppure per compilare documenti.

Il restante tempo è utilizzato per coordinare le cure con altri specialisti e, infine, per visitare i pazienti.

Perciò la classica visita è ridotta al minimo.

In poche parole, è come se fosse venuto a mancare il contatto fisico tra medico e paziente, quel tocco che umanizzava la figura del medico agli occhi del paziente.

Il rischio?

Perdere di vista la centralità del paziente che dovrebbe essere, invece, alla base del sistema sanitario.

È importante quindi tornare a riflettere su ciò che la professione del medico era una volta, su quello che è ora e su quello che dovrebbe essere o rischia di diventare. 

 
Se il significato della professione del medico deve essere ripristinato, sono necessari cambiamenti piuttosto complessi a livello globale, a partire dal ristabilire un dialogo che includa chi opera in prima linea nel campo della medicina.
 
Si dovrebbe tornare al rapporto diretto con i pazienti, dialogando con le loro famiglie e gli infermieri.

È necessario ricostruire il senso di lavoro di squadra, di comunità, rafforzando i legami che uniscono i medici come esseri umani e ripristinando quel contatto umano tra medico e paziente. Le soluzioni non saranno semplici, dato che molti problemi sono intrappolati nell’alto costo delle cure sanitarie e negli ostacoli alle riforme dell’assistenza sanitaria.
 
Ma si può iniziare ricordando il vero privilegio della professione medica: dare conforto e offrire cura alle persone.