L’estate appena trascorsa verrà ricordata come “la peggiore estate di sempre”.
E non solo dal punto di vista climatico e meteorologico bensì anche a livello di medicina di emergenza-urgenza.
Questo è l’allarme lanciato dalla Simeu, la Società italiana di medicina d’emergenza urgenza: la categoria dei medici del pronto soccorso, potrebbe presto sparire.
Non tanto perché questi professionisti non trovano lavoro ma, al contrario, perché i camici bianchi del pronto soccorso preferiscono dimettersi.
Da anni è in atto una vera e propria fuga dai pronto soccorso degli ospedali: si è intensificata con il Covid e ora si fa sentire di più per il ritorno in massa dei pazienti dopo due anni di cure con il contagocce.
Un problema sempre più grave che continua a non trovare la giusta attenzione e questo disinteresse incide molto sulle scelte dei professionisti rispetto al proprio futuro.
La criticità legata all’organico viene amplificata dal carico di lavoro causato dal “boarding”, il fenomeno di prolungata permanenza dei pazienti e di sovraffollamento di barelle in dipartimento – causate dall’incapacità dei reparti di accogliere i pazienti per mancanza di letti – che da sole assorbono tempo ed energie dei professionisti che vengono sottratte alla gestione delle emergenze.
Garantire l’assistenza è perciò sempre più difficile visto che le richieste di aiuto sono aumentate circa del 20% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Ad ogni modo i dati della Simeu sembrano quasi condannare i pronto soccorso all’estinzione: oggi mancano circa 4.200 tra medici e personale infermieristico da impiegare nei pronto soccorso e sono già 600 i medici che nel 2022 si sono dimessi.
In pratica 100 al mese.
Per scappare da un lavoro usurante e mal pagato anche i medici a bordo ambulanza sono diminuiti di oltre il 50% negli ultimi 10 anni.
A fare da sfondo a questo triste scenario ci sono turni massacranti di chi oggi lavora in prima linea, spesso con tutti i weekend lavorativi e con grandi difficoltà anche a fare le ferie.
E oltre a dover subire un carico di lavoro sfiancante, medici e infermieri italiani non ricevono nemmeno un adeguato compenso, soprattutto se paragonato ad altre nazioni.
Ecco perché molti decidono di emigrare.
Occorre una legislazione di emergenza: sempre più concorsi banditi dalle aziende sanitarie e ospedaliere non riescono ad essere attrattivi e vanno deserti, e sempre più professionisti lasciano il pubblico per lavorare nel privato.
La pandemia da coronavirus aveva messo una pezza sulla mancanza di medici, riportando in corsia accanto agli specializzandi anche i medici già in pensione. Ma finita l’emergenza, sembra calare l’attenzione anche sul comparto medico italiano.
Un dato comunque rimane: la categoria medica è in difficoltà.
L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia non ha fatto altro che aggravare le criticità che già affliggevano la professione quali la carenza di personale, i mancati investimenti, la mentalità aziendalista volta a far quadrare i bilanci più che a definire obiettivi di salute.
È quindi necessario sanare questo disagio e fare in modo che i medici tornino protagonisti del Servizio sanitario nazionale per rivendicare il loro ruolo sia a livello professionale sia a livello sociale.
Occorre quindi dare dignità al lavoro di medici e infermieri riconoscendo un tangibile incremento economico, riuscire ad alleviare i pesanti turni degli operatori riconoscendo riposi aggiuntivi e soprattutto riconoscere che lavorare nell’emergenza–urgenza è un lavoro usurante.